La guerra dei volantini

foto da interno supermercato Wallmart

Oramai i supermercati non vendono prodotti, ma slogan pubblicitari.

Nei loro volantini creano l’aspettativa del risparmio al consumatore stanco e assuefatto allo status quo, trascurando la qualità. Forse perchè non è più la qualità la leva su cui agire per creare profitto.

Andando per supermermercati a Milano come nell’hinterland, ho sempre la sensazione di camminare per le corsie dello stesso punto vendita, pur essendomi spostata nello spazio-tempo.

La politica dei prezzi, anzi degli sconti poi, sfiora il ridicolo, tanto che almeno a me, capita di ricordare lo sconto su un certo articolo piuttosto che il prezzo di vendita.

Inoltre anche il supermmarket in un certo senso, è diventato “social”. Ricordo qualche anno fa, che su qualche sito internet avevano descritto alcuni Esselunga della città di Milano, come mete sicure di “cuccaggio” e addirittura qualcuno ci aveva trovato l’anima gemella senza nemmeno chiedere lo sconto, insomma era compresa nel prezzo.


foto da interno supermercato Wallmart

Ebbene sì, il supermarket fa parte della nostra vita di cittadini ed anche di paesani, visto che i grossi gruppi tendono sempre di più ad approfittare (loro sì) dello sconto sull’affitto che i comuni applicano alle aree depresse.

Anche la nostra vita dunque è “scontata” e banale, assimilata ai mille prodotti senza qualità delle grosse catene di distribuzione. Siamo diventati anche noi merce da mercato: venduti dai politici che usano i nostri bisogni primari come campo di battaglia elettorale, dai giornalisti per lavorare sui nostri scandali e portare qualche soldo a casa con la pubblicità, dagli imprenditori per sfruttarci sul lavoro che ci serve per andare a fare la spesa e dai supermercati per venderci roba marcia e in scadenza che comprano alle aste alimentari.

Insomma l’intero ciclo produttivo del profitto capitalista si fonda sul consumatore, che consapevole o inconsapevole, si lascia trascinare in un gioco masochista che a poco a poco è penetrato nella nostra vita di esseri umani, deturpandone la natura.

© l’Assenzia

In ricordo di tutte le Piazze Fontana del Paese alla rovescia

Ieri a Palazzo Marino,  il Presidente Mattarella con il Sindaco Sala e il Consiglio comunale di Milano, hanno finalmente ridato voce alle vittime di Piazza Fontana ignorate scientemente dalle Istituzioni Italiane per 50 anni.

Sono contenta, mi sta bene: ma vogliamo fare anche Giustizia oltre alle chiacchere o no?

Ho smesso di credere alle favole dei partiti di questo Paese alla rovescia in età adulta, quando era troppo tardi anche per me.

Dopo le tante morti delle varie stragi, anche di Stato, che si sono susseguite dal 69 ad oggi, i nostri tribunali  hanno sostanzialmente fatto Ingiustizia, assolvendo in alcuni casi gli assassini e addebitando le spese legali alle vittime,  come nel caso appunto di Piazza Fontana, che Montanelli chiamava “la madre di tutte le stragi”.

Peppino Pinelli

In cinque istruttorie e otto processi, nessuno è riuscito a condannare i responsabili di quella strage, Freda e Ventura condannati per altri addebiti,  ma solo a riconoscere che fu compiuta da un gruppo eversivo dell’estrema destra.

Ma dove la vergogna ha raggiunto l’apoteosi, è nel calvario fatto passare alla famiglia di Peppino Pinelli, accusato ingiustamente della strage della Banca dell’agricoltura e volato giù da una finestra della Questura di Milano tra il 15 e il 16 dicembre 1969  con un “balzo felino” ma all’indietro per un “malore attivo” (così lo definì la difesa sbilenca e rocambolesca del Commissario capo Allegra) mentre era trattenuto ingiustamente e illegalmente da oltre  48 ore.

Quelli che ufficialmente lo detenevano, sono morti. Ma i funzionari del Viminale, quelli dei servizi che ora sappiamo essere stati parte attiva e  presenti all’interrogatorio e alla sua morte, sono ancora vivi? E  se sì, quando ci faranno la grazia di farci sapere com’è morto il Signor Pinelli?

Ma sopratutto : un risarcimento ai suoi superstiti e alle vittime innocenti del connivente  Stato Italiano,  non sarebbe palesemente dovuto? Cos’è, basta la stretta di mano e la pacca sulle spalle, alle nostre Istituzioni,  per dare un bel colpo di spugna e ignorarli per altri 150 anni?

L’unico risarcito dopo un’attesa di 42 anni,  è stato un superstite tignoso forse anche per mestiere, cassiere della Banca, il quale ha vinto un ricorso al Tribunale del lavoro di Imperia che ha condannato L’Inps e il Ministero dell’Interno a pagare oltre 500mila euro per i traumi seguiti  alle lesioni derivate dalla deflagrazione.

E questo dimostra che quando si vuole far Giustizia si fa  sul serio, e che  le vie dei Tribunali del Lavoro sono infinite, come pure i tempi dei risarcimenti.

©l’Assenzia