Oramai i supermercati non vendono prodotti, ma slogan pubblicitari.
Nei loro volantini creano l’aspettativa del risparmio al consumatore stanco e assuefatto allo status quo, trascurando la qualità. Forse perchè non è più la qualità la leva su cui agire per creare profitto.
Andando per supermermercati a Milano come nell’hinterland, ho sempre la sensazione di camminare per le corsie dello stesso punto vendita, pur essendomi spostata nello spazio-tempo.
La politica dei prezzi, anzi degli sconti poi, sfiora il ridicolo, tanto che almeno a me, capita di ricordare lo sconto su un certo articolo piuttosto che il prezzo di vendita.
Inoltre anche il supermmarket in un certo senso, è diventato “social”. Ricordo qualche anno fa, che su qualche sito internet avevano descritto alcuni Esselunga della città di Milano, come mete sicure di “cuccaggio” e addirittura qualcuno ci aveva trovato l’anima gemella senza nemmeno chiedere lo sconto, insomma era compresa nel prezzo.
Ebbene sì, il supermarket fa parte della nostra vita di cittadini ed anche di paesani, visto che i grossi gruppi tendono sempre di più ad approfittare (loro sì) dello sconto sull’affitto che i comuni applicano alle aree depresse.
Anche la nostra vita dunque è “scontata” e banale, assimilata ai mille prodotti senza qualità delle grosse catene di distribuzione. Siamo diventati anche noi merce da mercato: venduti dai politici che usano i nostri bisogni primari come campo di battaglia elettorale, dai giornalisti per lavorare sui nostri scandali e portare qualche soldo a casa con la pubblicità, dagli imprenditori per sfruttarci sul lavoro che ci serve per andare a fare la spesa e dai supermercati per venderci roba marcia e in scadenza che comprano alle aste alimentari.
Insomma l’intero ciclo produttivo del profitto capitalista si fonda sul consumatore, che consapevole o inconsapevole, si lascia trascinare in un gioco masochista che a poco a poco è penetrato nella nostra vita di esseri umani, deturpandone la natura.
© l’Assenzia