Racconto di Domenica.

Cara lettrice, caro lettore di blog inopportuni e invisibili come il mio. E’ molto tempo che non scrivo, perché per vivere e pagare anche questo spazio mantenendolo al riparo dalla pubblicità, devo fare dei lavori umili, che mi diano da mangiare e uno stipendio (quasi) sicuro, possibilmente non a contatto diretto con i capetti di turno. Alla fine della giornata, non mi restano nemmeno quelle energie che permettono a un essere umano  di tenere gli occhi aperti.

Al mattino la mia sveglia è puntata alle 5, colazione e preparazione del mio povero pranzo al sacco. Ore 6 esco di casa, e con la mia vecchia bici che piova o tiri vento, raggiungo la stazione del mio paese.

In treno poi, confusa con una folla semi addormentata di gente stanca dal giorno prima quanto me, penso con rimpianto al perché io non abbia mai intrapreso la carriera politica, visto che li stipendiamo lautamente  per dire panzane colossali e non fare assolutamente nulla se non esibirsi a volte in Parlamento su Rai 3 nelle vesti di indignati di non si sa più che cosa, oppure ogni sera in un Talk show su un canale sempre diverso. E mi rispondo che non volevo padroni che mi manovrassero;  intanto prima di addormentarmi sul sedile del mio trenino,  mi risuona nella testa, la Bachianas Brasileiras, No. 2 di Villa Lobos.

Alla sera , dopo 8 ore di duro lavoro e quasi mutismo,  mi aspettano 20 minuti di metrò, 15 in media di permanenza in stazione e 40 di treno (che se arriva come quasi sempre in ritardo diventano a volte il doppio). Ne approfitto per rileggere i classici del teatro italiano e, sfogliando le pagine con le mani indolenzite, mi ritrovo ad  incazzarmi sistematicamente scoprendo quanto poi in Italia negli anni 30, pur essendo dei geni, si potessero odiare le donne e ricevere contestualmente anche dei premi Nobel.

A coronamento della giornata, dopo la doccia, la lavatrice d’ordinanza e la cena frugale, alle 21 circa sono già in catalessi sul divano senza nemmeno il tempo per una santa digestione.

Inutile dirti che quando alle 2 del mattino mi sveglio di soprassalto con la tv a tutto volume, a seguire le inserzioni pubblicitarie, c’è sempre la replica di un programma dove un politico di qualunque colore e tendenza, strombazza vomitando (indignato) il vocione critico sull’alleato o il rivale di turno, poco importa ormai se al TG o in un programma di cucina. L’importante per il politico è la performance dell’esibizione, non il luogo. Per capire di chi si tratta mi basta guardare le pubblicità che lo hanno preceduto.

L’alienazione intanto, come un corvo nero, svolazza sulla mia testa nel tragitto dal divano alla camera da letto, e ghermisce questo povero corpo vecchio e stanco, senza più regole e desideri, col futuro rinchiuso in un armadio insieme ai vecchi incanti, sotto ai vestiti invecchiati senza essere mai stati usati.

Ma poi, come inaspettata, arriva la Domenica, il giorno colorato d’azzurro, il giorno che mi spinge a fare un ragù e a bere un po’ di vino. Quello in cui mi ritrovo a sognare ancora, a pregare ancora e a guardare il cielo. Il giorno di tutte le lotterie. Il giorno di festa di tutti i poveracci , il giorno della speranza. Il giorno più corto della settimana a cui mi aggrappo con tutte le forze per non far sì che svanisca nel nulla. In cui mi ritrovo a scrivere su questa pagina per non permettere che la stanchezza cancelli anche questo dalla mia esistenza.

@Domenica

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